Monaco di Baviera, 17 Dicembre 2008
Gentile Ministro ombra,
gentili Parlamentari del PD eletti nella ripartizione elettorale Europa,
Nell’ambito delle attività del gruppo Università e Ricerca e del Circolo PD Sezione di Monaco di Baviera abbiamo discusso con altri ricercatori italiani che lavorano a Monaco e dintorni, i contenuti di recenti iniziative legislative che interessano l’università, in particolare il disegno di legge Gelmini-Tremonti su “valorizzazione del merito e qualità del sistema universitario e della ricerca”.
Tale disegno di legge contiene numerose misure il cui impatto rischia, a nostro avviso, di sortire effetti decisamente negativi, ma anche alcuni provvedimenti potenzialmente positivi e che andrebbero colti quali spunto per successivi miglioramenti.
Con questo breve documento desideriamo attirare l’attenzione sulle misure che, secondo noi, andrebbero contrastate con decisione informando l’opinione pubblica della loro reale portata, e individuare invece gli aspetti di innovazione che possono essere migliorati. Abbiamo infatti letto sui giornali sconcertanti dichiarazioni di esponenti politici – anche del PD – che ci sembra non abbiano assolutamente colto né quanto di sbagliato né quanto di buono sia presente nella bozza in discussione.
Nonostante l’intento più volte propagandato sia quello di contrastare il cosiddetto “potere dei baroni”, molti dei provvedimenti previsti dal disegno di legge vanno in realtà nella direzione opposta. Ad esempio il nuovo sistema di scelta delle commissioni dei concorsi restringe l’elettorato sia attivo che passivo ai soli professori ordinari e straordinari (Art.1, commi 4 e 5). In altri termini, le commissioni di concorsi a qualsiasi livello (professore di prima fascia, di seconda fascia, ricercatore) saranno composte esclusivamente da professori ordinari, con l’unica eventuale eccezione ammessa dalla possibilità dell’università che emette il bando, di nominare un professore associato nelle commissioni dei concorsi da ricercatore. Si tratta di un evidente peggioramento rispetto alla situazione attuale, in cui le commissioni per concorsi di seconda fascia e per ricercatori sono miste (3 ordinari e 2 associati per il concorso di seconda fascia, 1 ordinario, 1 associato e un ricercatore per quelle da ricercatore) e l’elettorato attivo è garantito a tutti (ognuno nell’ambito della propria categoria). È evidente che in questo modo si aumenta il potere decisionale dei professori ordinari a scapito delle altre figure.
Ancora meno comprensibile è il comma 8bis dell’Articolo 1, che prevede che “i professori che non usufruiscono del periodo di trattenimento in servizio di cui all’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, conservano l’elettorato attivo e passivo ai fini della costituzione delle commissioni di valutazione comparativa per posti di professore e ricercatore universitario” fino al primo novembre successivo al compimento del settantaduesimo anno di età. Con ciò si consente ai professori più anziani, e che dovrebbero già essere in pensione, non solo di continuare l’attività accademica, ma anche di mantenere intatta la possibilità di decidere commissioni e assegnazioni di contratti e risorse, in chiara controtendenza rispetto a ciò che accade in altri paesi Europei e a quella politica di svecchiamento e ricambio tanto auspicata a parole da governo e opposizione.
La modifica al comma 3 dell’articolo 1, introdotta in Senato, risulta poi particolarmente peggiorativa rispetto al testo originale. A seguito di questa modifica, infatti, una quota non inferiore del 60 percento della somma disponibile per il reclutamento di nuovo personale viene destinata “all’assunzione di ricercatori a tempo indeterminato, nonché di contrattisti ai sensi dell’articolo 1, comma 14, della legge 4novembre 2005, n. 230”. (la formulazione originaria prevedeva solo ricercatori a tempo indeterminato). L’emendamento del Senato, che introduce la possibilità di utilizzare quelle risorse anche per contratti a termine, alimenta da un lato l’odiosa precarietà che ben conosciamo, risultando dall’altro, terreno ancora più fertile per ricatti e baronie che a parole si vorrebbe combattere. È infatti molto più ricattabile un contrattista di un ricercatore stabile.
Un’altra cosa deprecabile di questo disegno di legge è che le spese previste per la sua attuazione vengono recuperate mediante tagli alle dotazioni di altri ministeri (e fin qui nulla di grave), però i tagli previsti al ministero dell’ambiente sono quasi esclusivamente limitati alla voce “Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell’ambiente” (quando sappiamo che invece moltri altri paesi riconoscono proprio in questo settore grandi potenzialità di sviluppo, anche della ricerca, e di crescita economica).
Vi sono nel decreto legge poi una serie di misure tendenzialmente inutili o superflue, quali l’articolo 1, comma 1 sulla possibilità di indire bandi di concorso solo in presenza di una garanzia di copertura finanziaria (in realtà questa norma già esiste, semplicemente non viene rispettata né fatta rispettare), o l’articolo 3bis sulla creazione di una anagrafe telematica del personale universitario (l’anagrafe dei docenti esiste già, è gestita dal CINECA, e ogni singolo docente ha la responsabilità di tenerla aggiornata con le informazioni sulla propria attività scientifica). Non si capisce la necessità di dedicare un articolo della legge per la creazione di una cosa che già esiste.
Potenzialmente positivo invece il fatto che gli scatti stipendiali e la partecipazione alle commissioni siano subordinate alla attività scientifica del docente (articolo 3ter). Bisogna però che i criteri di valutazione non ancora definiti, siano sufficientemente stringenti ed oggettivi. Considerare solo pubblicazioni scientifiche in riviste internazionali peer-reviewed con Impact Factor, oppure curatele di libri o riviste sempre a livello internazionale, escludendo lavori a mero livello nazionale o addirittura locale – annali e pubblicazioni interne -potrebbe essere un criterio ammissibile.
A questo proposito risultano sconcertanti le dichiarazioni del ministro ombra dei Beni culturali, secondo cui in questo modo si premierebbero “…i docenti che pubblicano in fantasmatiche case editrici il risultato delle loro ricerche…” invece di “…dare consistente valore alla didattica. Gli studenti pagano l’onerosa retta per essere istruiti e non per il curriculum di presunta scientificità dei professori. (…) nel quasi cento per cento dei casi si tratta di pubblicazioni inutili, pretestuose e improvvisate a mero scopo carrieristico.”. Piuttosto che lanciarsi in affermazioni di questa portata e sicuramente avventate, sarebbe il caso di sfidare l’esecutivo sulla serietà dei criteri da utilizzare – le pubblicazioni su riviste internazionali sono un parametro normalmente utilizzato in tutto il mondo per valutare la bontà dell’attività scientifica- tenendo anche conto di come un’attività didattica efficace e aggiornata non possa prescindere da un’attività di ricerca di eccellenza.
Anche le norme per il cosiddetto rientro dei cervelli (articolo 1bis) paiono più che sensate, anche se non è molto chiaro in cosa differiscono dalle norme attuali. Anche in questo caso risulta poco comprensibile la posizione del deputato PD Paolo Corsini che, in commissione esteri, ha contribuito a far bocciare questo articolo perchè “le disposizioni del provvedimento sembrano incoraggiare tecniche di aggiramento delle procedure concorsuali italiane, assai più rigorose di quelle previste all’estero, che consistono proprio nell’assunzione di ruoli di docenza in altri paesi, con l’effetto di incoraggiare ulteriormente il fenomeno della fuga di cervelli.”
Si tratta di esternazioni, difficilmente difendibili nella forma e nella sostanza. Sarebbero piuttosto auspicabili proposte avanzate al fine di rendere più efficaci e meno burocratiche le procedure di rientro dei cervelli e di richiamo di studiosi stranieri.
La cosiddetta “fuga dei cervelli”, infatti, é infatti di per sé un dato assolutamente incoraggiante, che dimostra la dinamicità e la competitività a livello internazionale dei ricercatori formatisi nelle Università italiane, e rappresenta piuttosto una risorsa per l’acquisizione di nuove competenze e contatti nei centri di eccellenza mondiali. Il problema è piuttosto l’assenza di un flusso inverso di ricercatori italiani e stranieri verso il nostro paese, a causa della scarsa competitività e appetibilità del nostro sistema di ricerca.
A tal proposito, la norma introdotta nel DDL anticrisi (art. 17) che prevede di ridurre le aliquote delle imposte agli studiosi che arrivano in Italia, è sicuramente positiva, ma del tutto insufficiente in quanto sarebbero altre le condizioni da garantire a tali studiosi, in linea con quanto viene offerto negli altri paesi: la possibilità di crearsi un gruppo di ricerca autonomo, la certezza di avere accesso ai fondi necessari e costanti nel tempo se i risultati conseguiti risultano importanti e significativi, stipendi confrontabili con quelli percepiti nel resto d’Europa.
Ci auguriamo quindi che il PD possa finalmente fare chiare e coraggiose scelte di campo nel dibattito sulla gestione delle risorse da dedicare alla ricerca, avanzando proposte serie e profondamente innovatrici, criticando con decisione quelle che invece vanno in direzione opposta o che tentano di mantenere uno status quo apparentemente conveniente. Proprio davanti al profilarsi di una crisi economica profonda in tutti i paesi industrializzati, é infatti giunto il momento di delineare con chiarezza quale futuro la nostra classe dirigente immagina per il nostro paese.
Il Gruppo Università e Ricerca
del Circolo PD “Sezione di Monaco di Baviera”
Giovanni Cresci
Augusto Giussani
Il coordinatore pro-tempore
del Circolo PD“Sezione di Monaco di Baviera”
Daniela Di Benedetto